Quando nasce un figlio, nasce anche un papà.
Le mamme vedono il loro corpo cambiare e trasformarsi durante la gravidanza, mentre si fa strada dentro di loro l’idea del bambino che sta per nascere: generano nel cuore e nella mente quel figlio, carne della loro carne, prima ancora di darlo alla luce.
Un padre, invece, diventa ufficialmente tale nel momento in cui riconosce davanti alla legge quel bambino come proprio, dotandolo del suo cognome, ma questo non implica l’essere capaci di soddisfare le implicazioni emotive, affettive ed educative che tale ruolo comporta.
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano, nel suo libro «Da uomo a padre. Il percorso emotivo della paternità» (Mondadori, 2019) scrive:
“Oggi, le fotografie dei “nuovi padri” ci mostrano uomini che fin dai primi giorni di vita, tengono teneramente in braccio i loro bambini, li coccolano, li guardano negli occhi. Sono padri che interpretano il loro ruolo non solo nella logica della responsabilità normativa (compito di un padre è dare regole ad un figlio e renderlo responsabile), ma anche di quella emotiva e affettiva. Sentono che il loro essere padri, non è solo finalizzato a sostenere la crescita di un figlio, ma è pure un’occasione straordinaria per crescere essi stessi nella propria umanità, per affinare le proprie competenze emotive e spirituali. Un figlio, in questa accezione, diventa per un uomo la più grande occasione per la sua crescita umana. In questa prospettiva, il nuovo padre è quello che non solo fa il padre, ma anche che si “sente” profondamente padre e intorno a ciò costruisce, dentro e fuori di sé, una nuova identità. Così nel percorso verso la paternità, un uomo diviene in grado di trasformare l’idea di sé, connettendosi intimamente e profondamente con il proprio figlio, fino ad essere sintonizzato, preoccupato, assorbito nella e dalla relazione con lui.”
Il “papà che allatta”, come lo definisce amorevolmente il dottor William Sears nel suo libro “Genitori di giorno e… di notte” (Ed. La Leche League International), inteso come papà che si prende cura, che nutre nel senso più ampio del termine. L’interazione padre-figlio apporta un imprinting unico nello sviluppo psicomotorio ed emotivo per il bambino. Alcuni studi hanno osservato come la presenza accudente del padre aiuti la madre a mantenere un bonding più reattivo (“La vida secreta del niño antes de nacer”, Thomas Verny e John Kelly – Ed. Urano).
Il papà, laddove presente, può e deve essere coinvolto subito, può diventare una “doula”, insieme ad aiuti esterni, e sollevare la partner da altre incombenze di casa. Il papà ha tanti strumenti a suo favore: il suo timbro vocale basso può diventare rilassante e rassicurante, così come il contatto pelle a pelle paterno è particolarmente apprezzato dai bambini e può creare un rituale per la “nanna” speciale.
Nel mondo legato alla nascita è in atto una grande rivoluzione, associata all’ingresso del padre in sala parto e questo evento ha in realtà un enorme correlato anche sul piano neurobiologico.
Scrive ancora Pellai:
“Le neuroscienze hanno rivelato che il cervello di un uomo che vede nascere il proprio bambino, vive proprio lì, di fronte a quell’evento — indimenticabile per ogni uomo che l’abbia vissuto — la sua prima potente trasformazione che tende a mantenersi e consolidarsi nelle giornate e settimane seguenti. Quanto più il papà resta intimamente presente sulla scena famigliare, guardando negli occhi il proprio figlio, tenendolo in braccio e sostenendo la neomamma nel periodo neonatale, tanto più il suo sistema nervoso centrale aumenta la produzione di prolattina e ossitocina, ormoni che facilitano l’accudimento tenero e affettuoso verso il “cucciolo d’uomo”.
Contemporaneamente, si assiste ad un calo del testosterone, l’ormone che influenza la forza muscolare dell’uomo e il suo desiderio sessuale. È come se l’interazione precoce tra il neonato e il suo papà, spingesse quest’ultimo verso la ricerca di una vicinanza intima e tenera con il proprio bambino, riducendo invece i suoi bisogni esplorativi e di permanenza nello spazio esterno al nido domestico. Le neuroscienze sembrano dimostrare quello che l’evoluzione ha probabilmente selezionato per i papà della specie umana, unici nel regno vivente: chiede loro di stare lì dove c’è il proprio figlio, di instaurare con lui una relazione sin dai primi istanti che non si sostituisce a quella materna, ma che la integra e completa. Tra l’altro, le ricerche evidenziano che il padre coinvolto e presente nelle prime settimane di vita del proprio figlio è uno straordinario stabilizzatore emotivo della neo-mamma, permettendole di attraversare più facilmente l’ansia e la paura associate ai nuovi compiti di accudimento, favorendo l’attaccamento e l’allattamento tra lei e il neonato e riducendo il suo rischio di depressione post-partum. […]
La ricerca dimostra che un padre che si coinvolge in fase precoce nella vita del proprio bambino, diventa un padre efficace e autorevole anche in tutte le successive fasi dell’età evolutiva. L’adolescenza dei figli è più protetta dal rischio comportamentale e meno soggetta a forme di disagio emotivo e psicologico se il padre rimane sulla scena della loro crescita, mescolando le tre dimensioni alla radice del suo ruolo e funzioni: responsabilità, disponibilità emotiva e coinvolgimento attivo.”
Uno degli aspetti positivi di questo tempo di pandemia da covid-19 è stata la possibilità per molti padri di convivere 24 ore su 24 con i propri figli, all’interno del nido domestico. E in molti casi, questa esperienza ha migliorato il loro coinvolgimento e il modello di co-genitorialità condivisa in famiglia.
La nostra società ha sempre più bisogno di padri così, che siano un esempio per i nostri bambini, che saranno i genitori di domani: più prolattina e ossitocina e meno testosterone!
Testo e disegno di Maria Rolandi
Facilitatrice in Allattamento per l’Associazione Allattamento e Dintorni APS e Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica