L’allattamento mi ha insegnato cosa significhi essere una mamma, e mi ha insegnato ad ascoltare ciò che la natura ha previsto per noi e per i nostri figli.
Avere un bambino … l’aspettativa
Avere un bambino ci mette in cammino, ci fa intraprendere un viaggio, un percorso, che porta alla conoscenza profonda di sé e contemporaneamente al cambiamento di noi stessi. Diventare genitori, diventare mamma, è un enorme dono, ma è anche una prova, durante la quale tutte le nostre certezze vacillano. Anche le donne più forti possono scoprirsi sole, spaventate, vulnerabili. Purtroppo siamo ancora molto influenzati da modelli di maternage idealizzati, donne alle prese con neonati ancora sconosciuti che elargiscono sorrisi a tutti i parenti in visita, preparando magari torta e caffè in una casa immacolata. La realtà, che qualunque madre conosce, è ben diversa. Il mio parto, cesareo per presentazione podalica, non è andato affatto bene. Dovrebbe essere il parto indolore, quello in cui “si soffre dopo”.
Ricordo molto bene di aver sofferto prima, durante e dopo:
E ricordo di essermi sentita dire che avevo solo paura, che il mio dolore non esisteva, che il bambino stava bene. Io, ormai, lo avevo dato alla luce, non contavo più molto. Fino a che non ho dovuto nutrirlo.
Non ho avuto la possibilità di attaccarlo al seno nella prima ora dalla sua nascita, ero sedata e avevo un sonno terribile, nessuno mi ha aiutata. Il mio bambino era stravolto quanto me, abbiamo fatto il “pelle a pelle”, si è addormentato sul mio seno, ma non lo ha cercato per succhiare.
La sera, l’infermiera del nido mi porta un paracapezzolo: forse il bambino non si attacca per via della conformazione del mio seno. Il mio bambino succhia, molto poco, fa male, la montata non c’è, ma succhia. Arriva la mattina, mi spiegano come usare il tiralatte, ci provo. Pochissimo colostro, che chiedo di poter dare io al mio piccolo con la siringa. Intanto, provo ad allattarlo, ma nulla, il seno fa malissimo, il bimbo non mangia. Nel frattempo, una complicazione mi obbliga a rimettere il catetere, che metterò e toglierò tre volte in due giorni; dovrei stare a letto, perdo tanto sangue, ma dovrei anche camminare, per il post operatorio. Comincio a non capire più nulla. Sono stanca, nervosa, nessuno riesce a capire che mi serve aiuto e io non riesco a chiederlo. La notte passa implorando un antidolorifico più forte del paracetamolo, mai somministrato per non inficiare l’allattamento. Ma lo scopro solo ora, non me lo dicono.
Il tuo dolore non è reale, tu non vuoi allattare!
Il giorno successivo accade un evento che cambierà le sorti del nostro allattamento: un’infermiera, dopo l’ennesimo tentativo di attaccarmi il bambino al seno con forza, nota le mie lacrime che ormai scorrono senza ritegno, e mi dice che il mio dolore non è vero, non è reale, è impossibile. Lei se ne va e io mi sento morire. Non ho il coraggio di dire alla ostetriche che vengono dopo che non ho solo i morsi uterini, ho un dolore terribile al seno, sembrano lame, ogni volta che il bambino mi sfiora con la bocca. Così, anche stavolta nessuno mi aiuta. Mi convinco che la colpa sia mia, tutte le madri proveranno questo e io sarò una lagna. Mi esortano a dire che non voglio allattare, solo così lo faranno mangiare. Ma io provo a tirare il latte, ancora, mentre chiedo di poter aver accesso alla banca del latte. Nessuna risposta. Sono esausta. Voglio solo andare a casa. Mio figlio mangerà la formula, crescerà lo stesso, pazienza. Ma a casa non ci vogliono mandare, ha perso troppo peso. Direi, ha fatto una poppata in quattro giorni. Firmiamo le dimissioni volontarie. Vado avanti a tirare il latte con il tiralatte professionale per 14 giorni, arriva la montata, provo ad attaccare Simone al seno con il paracapezzolo, si aggiungono le ragadi. Alla fine, chiedo un appuntamento a una consulente per l’allattamento, ma poi desisto, mi sono sentita male, ho la febbre da giorni, un blocco intestinale legato alla contrazione del pavimento pelvico, mi portano in ospedale. Il medico mi ha appena dato il Dostinex per interrompere l’allattamento. L’ostetrica che mi visita mi fa sentire una pessima madre.
Poi pian piano, comincio a respirare:
Poi, piano piano, mi riprendo, comincio a respirare, a lasciare andare l’incubo, a conoscere il mio bambino, e comincia la rinascita. Voglio sentire il legame che ci unisce, voglio vederlo ancora attaccato a me, voglio sentire che posso dargli il meglio, e non quel surrogato che gli provoca coliche e rigurgiti continui, anche se costa un rene. E vorrei anche perdere quei 22 kg di troppo che mi sono rimasti addosso! Scrivo a Laura, la presidente di questa associazione di cui oggi faccio parte, e le dico che voglio riallattare, e lei mi dice che è difficile, ma si può. Inizia qui il mio cammino di allattamento. Il mio seno non è strano, non ha una conformazione particolare, i miei capezzoli non sono introversi e il dolore esiste eccome. Laura mi diagnostica la candida al seno, la curo con dieta, farmaci e tentativi di recuperare il benessere mentale. Intanto tiro il latte, attacco Simone al seno, tolgo il paracapezzoli dalla disperazione, lui cresce e le aggiunte piano piano diminuiscono. Torna a stare bene, senza coliche e rigurgiti, non appena la quantità di latte materno diventa prevalente.
A tre mesi e mezzo l’allattamento è di nuovo esclusivo:
A tre mesi e mezzo di Simone, nonostante i due cicli di Dostinex, l’allattamento è di nuovo esclusivo. La candida, invece, non molla. Ci accompagna fino ai sei mesi e mezzo di Simone, quando decido di buttare farmaci, essere meno ligia alla dieta, ma più serena, e di godermi il mio bambino. In una settimana se ne va. Intanto, entro a far parte di una rete di mamme, attraverso una chat, in cui ci scambiamo consigli, sostegno, in cui si costruiscono relazioni vere, che supportano le mamme quando ce n’è bisogno. Laura mi segue sempre, per ogni dubbio, per ogni necessità, con discrezione. Ora Simone ha 14 mesi e io lo allatto ancora e lo farò finché lui vorrà, perché dargli il mio latte, donargli ciò che il mio corpo produce per lui, dopo avergli dato la vita, è il regalo migliore che potessi fare, non solo a lui, ma a me stessa. Mi ha dato modo di comprendere che io e solo io posso avere con lui questo legame speciale, sempre più forte ogni giorno che passa. L’allattamento mi ha insegnato cosa significhi essere una mamma, e mi ha insegnato ad ascoltare ciò che la natura ha previsto per noi e per i nostri figli.
Senza questa associazione non ci sarei riuscita:
Senza questa associazione non ci sarei mai riuscita. Senza una consulente che mi ha preso per mano, mi ha lasciata libera in ogni momento di decidere per me e per il mio bambino, ma supportandomi sempre, in totale assenza di giudizio, sono convinta che sarei una madre diversa oggi, molto meno consapevole. L’allattamento non è solo cibo, incoraggiare le madri ad allattare significa consentire loro di scoprire la propria identità, scoprirsi mamme. E per questo , e per tanto altro, sarò sempre infinitamente grata.