“Mi/ti usa come ciuccio”
“Non voglio che mi usi come ciuccio”
Oggi vorrei partire da queste frasi, che quasi sicuramente vi hanno detto o, chissà, avrete pronunciato voi stesse.
Vorrei analizzare, per prima, la parola “usa”.
“Usare” una persona significa prendere da lei ciò che ci serve senza mai ricambiare, chiamarla solo quando ci occorre qualcosa.
Un neonato può fare questo?
Il nostro bambino, è vero, ha bisogno di noi per soddisfare quasi ogni sua necessità richiede a gran voce di essere accudito in tal senso. Ma è proprio vero che, così facendo, “ci usa”?
Diremmo che “ci usa” perché piange per essere cambiato o perché ha fame?
Nostro figlio non ricambia l’amore e le attenzioni che gli diamo?
Gli sguardi, i sorrisi, il rilassarci fra le nostre braccia, non sono forse un modo di dirci: “Grazie, mamma”?
La relazione col nostro bambino non è a senso unico, in cui il bambino chiede come un piccolo despota e la mamma risponde rinunciando ai suoi bisogni.
La relazione col nostro bambino è un continuo scambio di sguardi, affetto, sensazioni, sentimenti, attenzioni… un crescere insieme soddisfacendo, ovviamente, per primi i bisogni impellenti, fondamentali, vitali, del nostro bambino, ma ricevendo in cambio il suo amore, l’aumento della nostra autostima, la sensazione di essere, per lui, fondamentale.
Via via che il bambino cresce, si insegnerà e lui stesso imparerà da solo che anche la mamma ha dei bisogni da soddisfare.
Passiamo adesso alla seconda parola: “ciuccio”.
Vorrei riflettere su cosa è questo oggetto e a cosa serve.
Il ciuccio è un oggetto inventato per soddisfare il bisogno primario di suzione, che ha ogni bambino, quando questi non può accedere al seno materno.
Quando si sono cominciati a dare degli orari ferrei per le poppate, quando l’allattamento è stato ampiamente abbandonato per nutrire i bambini con latte artificiale e biberon, si è dovuto trovare il modo per calmare questi bambini, per soddisfare il loro bisogno di suzione, che va al di là della sola soddisfazione della fame. Succhiare, per i bambini, è un atto fondamentale, profondamente gratificante, rassicurante. I bambini ne hanno così tanto bisogno che, se non trovano altro, succhiano il proprio dito.
È quindi il ciuccio ad essere usato “come seno” e non il contrario.
Questo non vuol dire che, in una situazione in cui la mamma non può offrire il suo seno (è sotto la doccia, sta guidando, ecc…) non si possa cercare di calmare il bambino così (nulla vieta di offrire un proprio dito, per far succhiare il bambino!).
L’importante è non cercare di usare il ciuccio come metodo per impedire al bambino il libero accesso al seno cercando di “regolarlo”. Permettere ad un bambino di succhiare quando ne ha bisogno, non soddisfa, infatti, solo il suo bisogno di suzione, ma permette al seno di produrre la quantità ottimale di latte e di far sì che ogni volta il nostro bambino riceva anche solo poche gocce di un alimento su misura per lui.
Vorrei concludere dicendo che ciò che mi ha spinto a scrivere questo breve testo è anche cercare di sollevare le mamme da quella sensazione di “sentirsi usate”, di “inutilità” che può prendere quando ci si trova con un bambino che ha un forte bisogno di suzione e che quindi richiede di poppare molto spesso.
Il nostro bambino non ci sta usando senza riguardo per noi. Noi non stiamo facendo qualcosa di inutile che un ciuccio potrebbe fare meglio al posto nostro. Non stiamo perdendo tempo.
Stiamo offrendo a nostro figlio una forma di relazione basata sugli affetti e sugli scambi fra le persone, insegnandogli che la soddisfazione dei propri bisogni passa attraverso le relazioni umane, e non il possedere o usare un oggetto.
Paola Mazzinghi
IBCLC – Firenze
338 1478828